Il mondo raccontato all’interno di film, testi teatrali, musica e letteratura prende spesso il via dalla realtà quotidiana.
Il loro linguaggio però è molto più efficace di quello utilizzato in un semplice racconto a voce dell’evento. Questo perchè viene utilizzata l’emozione come ingrediente principale e ci troviamo come in una “realtà virtuale” in cui conosciamo i personaggi ed empatizziamo con loro. Siamo all’interno anche noi di una storia che ora ci diverte, ora ci intristisce, ridiamo e ci emozioniamo con loro.
Questo permette di veicolare alcuni temi, che spesso sono difficili da affrontare nel quotidiano, e di affrontarli sul grande schermo, offrendo un momento di approfondimento e, perchè no, la possibilità di mettere in discussione le nostre convinzioni pregresse.
Di recente ho avuto modo di vedere sulla piattaforma Netflix “Ti ricordi di me?” film italiano (2014) tratto da un’omonima commedia teatrale di Massimiliano Bruno e interpretato da Edoardo Leo e Ambra Angiolini.
Il film
La trama del film racconta principalmente le vicende dei due protagonisti.
Lei, Beatrice, maestra elementare, dal carattere molto rigido, rappresentato a livello cinematografico dall’abbigliamento, dal modo di parlare e di atteggiarsi; Beatrice è fidanzata con Amedeo, uomo molto facoltoso e più grande di lei.
Lui, Roberto, personaggio più semplice e diretto: lavora come commesso in un supermercato e scrive favole grottesche che si ispirano a fatti di cronaca e la mescolano alla fantasia. È single e vive con il fratello sposato.
I due protagonisti stanno seguendo un percorso psicoterapico: lei si presenta come narcolettica, con gravi amnesie all’interno di uno stato simil-dissociativo a seguito di particolari stress emotivi. Per questo motivo non si separa mai da un grande libro rosso dove appunta tutti gli eventi della sua vita. Lui, invece, insoddisfatto della sua vita, al limite del depresso, soffre di cleptomania.
I due si incontrano, per caso, davanti allo studio della psicoterapeuta presso la quale sono entrambi in cura e, dopo un lungo corteggiamento da parte di lui, si conoscono e si innamorano.
Tematiche difficili da affrontare
All’interno della narrazione cinematografica vengono sbriciolati molti temi di interesse psicologico e vengono “naturalizzate” situazioni imbarazzanti delle due patologie. Tra i temi troviamo questi tre: il percorso psicoterapico, la patologia con i suoi sintomi e la sua evoluzione, le possibili ricadute e i tempi della psicoterapia.
Il percorso terapeutico
Primario è sicuramente il tema del “percorso terapeutico” con cui prende avvio anche la narrazione. Sono presentati diversi spezzoni di terapia lungo l’intero film. Questo permette di affrontare lo spinoso tema di: Cosa si fa dallo psicologo? Cosa serve lo psicologo?
La figura dello psicologo è spesso circondata da falsi miti inerenti la tipologia di lavoro svolta e il tipo di percorso che viene affrontato. “Ti ricordi di me?” ci permette di fugare qualche ci permette di approfondire qualche riflessione a riguardo.
Il setting innanzitutto: dallo psicologo si può stare anche seduti su una sedia faccia a faccia e non solo sdraiati su un lettino come l’idea classica legata agli psicoanalisti. La modalità è legata al tipo di terapia scelta e al tipo di lavoro che si sta affrontando.
La modalità di intervento: dallo psicologo si utilizza il racconto e la narrazione come mezzo per affrontare le problematiche che disturbano il vivere quotidiano del soggetto. Non vi sono lettura del pensiero né strane congetture. Il racconto e quel che porta il paziente in seduta è il punto di partenza per il lavoro.
Prendiamo il caso dei due protagonisti del film, ad esempio, le loro difficoltà sono molto invalidanti e interferiscono in larga misura con la quotidianità. Insieme, terapeuta e paziente, cercano di comprendere l’origine della difficoltà (ovvero cosa ha permesso il manifestarsi e manifesta il nostro disagio) e come farvi fronte (individuare i modi possibili per superare il disagio). I due si raccontano al terapeuta che svolge una restituzione che aiuta i protagonisti a capire meglio ciò che gli sta accadendo. Questo però è un lavoro graduale che avviene nel durante il percorso. Nel caso specifico dei nostri protagonisti la “quiete” dei disturbi avviene trovando l’equilibrio affettivo, ma possono essere molteplici i fattori che influenzano i sintomi.
All’interno del film poi è presentata oltre alla modalità singola di colloquio anche quella di gruppo. Questa possibilità è un confronto e una condivisione che per alcuni pazienti e con alcune patologie (come ad esempio i famigliari di pazienti con demenza, pazienti che stanno affrontando il medesimo percorso clinico, gruppi di lavoro…) ha ottimi risvolti positivi.
La psico-patologia
Un altro tema importante, affrontato con leggerezza e molto senso dell’umorismo, è quello della psico-patologia. Intreccia l’intera pellicola ed è il pretesto per cui la vicenda prende avvio e lungo la quale si snoda la narrazione. Barbara e Roberto, i due protagonisti si presentano da subito attraverso lei.
La narcolessia impersonata da Barbara è una patologia con una frequenza molto bassa nella popolazione (0,02%-0,04%, riferimento DSM-5) associata a un disturbo, quello mnesico-dissociativo, che crea nello spettatore un senso di tenerezza e di protezione nei confronti della nostra protagonista.
Roberto invece presenta un disturbo (cleptomania) più conosciuto e più frequente nella popolazione generale (0,3-0,6%, riferimento DSM-5) che sembra essere associato a una tendenza depressiva dovuta alla condizione sentimentale. Da subito appare simpatico e un po’ sfortunato.
Entrambi i personaggi, inoltre, manifestano, si incontrano e si riconoscono nei tratti ossessivi che li distinguono e che costituiscono la zona di conforto in cui vivere: attraversare le strisce pedonali calpestando solo la parte bianca, il libro rosso e le sue regole…
All’interno della pellicola la patologia caratterizza i personaggi e li contraddistingue, tuttavia durante la narrazione è importante notare come il disagio cambia e si modifica insieme con la progettualità dei due protagonisti. Così non abbiamo più Barbara narcolettica e Roberto cleptomane ma, vi sono Barbara e Roberto che hanno un progetto comune. È questo il vero fulcro della terapia.
Le loro patologie durante lo svolgimento dell’azione si modificano, riescono essere gestibili e permettono ai due personaggi e rientrare in quella che è definita la “normalità”.
La ricaduta e i tempi della psicoterapia
Come spesso può accadere a momenti postivi di vita si possono alternare momenti più tristi e negativi. Anche i protagonisti del film devono li affrontare e il rischio di ricaduta patologica è alto. Questo ci permette di approfondire il tema del possibile ritorno sintomatologico. Questo può accadere dopo un periodo di benessere iniziale, oppure dopo un periodo più lungo di terapia in cui vi è una stasi dei sintomi.
Affrontare il qui ed ora e comprendere cosa è accaduto è fondamentale.
Questo tema è legato naturalmente ai tempi della terapia: ovvero quanto dura una terapia?
La durata della terapia può essere differente da approccio-approccio. Nell’approccio che seguo (per un approfondimento si rimanda alla sezione della “formazione ed esperienza“) non è possibile definire a priori la durata del percorso. La cadenza è settimanale, a meno di particolari motivazioni, e la durata sarà modulata a seconda delle necessità avvertite sia dal terapeuta sia dal paziente.
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