“Sì viaggiare
Evitando le buche più dure
Senza per questo cadere nelle tue paure
Gentilmente senza fumo con amore
Dolcemente viaggiare
Rallentando per poi accelerare
Con un ritmo fluente di vita nel cuore
Gentilmente senza strappi al motore
E tornare a viaggiare
E di notte con i fari illuminare
Chiaramente la strada per saper dove andare
Con coraggio gentilmente, gentilmente, gentilmente
Dolcemente viaggiare”
(L. Battisti – Si, viaggiare)
Quante volte abbiamo canticchiato queste parole di Lucio Battisti?
Il mese di agosto, scandito spesso da vacanze, gite fuori porta e momenti di relax suonano quanto mai poi attuali. Soprattutto dopo un anno, come quello che abbiamo affrontato, scandito da molte limitazioni su questo fronte e, talvolta, con crescente paura per la situazione pandemica.
Il viaggio di cui parla Battisti, è un viaggio che può essere interpretato oltre quello fisico di spostamento, ma, invece, inteso come il viaggio che ognuno di noi affronta nella sua quotidianità “evitando le buche più dure… […] con coraggio, gentilmente, gentilmente, gentilmente dolcemente viaggiare”.
Un approfondimento sul concetto di viaggio, su cosa si intenda per psicologia del viaggio, con i suoi vissuti positivi ma anche negativi che possiamo vivere, ed infine un approfondimento sulla psicoterapia come viaggio per sé.

Psicologia del viaggio

Viaggiare può esprimere il bisogno di allargare i propri confini, di vivere quella sensazione particolare di libertà. Può coincidere con la necessità di “staccare la spina” dalla routine quotidiana. Scegliamo posti che ci possano gratificare e che incontrano i nostri gusti.

Dietro al mero desiderio di viaggiare si nascondo bisogni emotivi strettamente legati al soggetto e alle sue motivazioni che non permettono di qualificarli in modo oggettivo. Qualunque sia la motivazione che ci spinge a viaggiare pare che ne esista una che accomuna tutti: la ricerca di una “stimolazione ottimale”.

Il viaggio se lo leggiamo in termini di motivazioni (ne abbiamo già parlato qui) può essere letto come il raggiungimento di uno scopo, un’attività da compiere al fine del raggiungimento di un obiettivo personale superiore (Feldman, 2008). In tal caso si può declinare come la ricerca di nuove esperienze, di quel brivido dato dall’avventura, o ancora il liberarsi di inibizioni ed uscire dalla noia e dalla routine.

viaggioRidurre però la voglia di viaggiare in termini di motivazioni e appagamento di bisogni, come già accennato in occasione dell’approfondimento sui bisogni, è alquanto riduttivo. La persona è mossa oltre che dai bisogni di carattere più istintivi, da quelli legati all’influenza dell’altro, all’esperienze che ha vissuto e dalle proprie progettualità. A tal proposito, alcuni autori hanno cercato di comprendere il significato di “stimolazione ottimale” e di “psicologia del viaggiatore” (Iso-Ahola, 1982; Pearce, 1993). Gli autori formulano un’ipotesi multidimensionale e in continua evoluzione che ci spinge a viaggiare costituita da bisogni emotivi strettamente legati al soggetto.

Entrando nel merito di “stimolazione ottimale”, più recentemente, Crompton (1979) afferma che la si raggiunge attraverso questi sette modi:

  • evadere dal quotidiano percepito ricercando luoghi di vacanza diversi rispetto a quelli quotidiani casa-lavoro;
  • esplorare sé stessi ricercando nuove occasioni in ambienti non familiari che ci portano a conoscerci meglio;
  • rilassarsi allentando le tensioni psico-fisiche di tutti i giorni;
  • ricercare il prestigio nel viaggio come mezzo di promozione sociale;
  • regredire attuando comportamenti meno razionali (es.: non avere orari, giocare sulla spiaggia) per sganciarsi dalle costrizioni sociali;
  • spingersi verso le relazioni familiari per rafforzarle anche con attività semplici (es.: giocare a carte) a cui non ci si può dedicare solitamente;
  • migliorare le relazioni sociali mediante soluzioni turistiche come i villaggi che portano a una disinibizione e favoriscono gli scambi interpersonali.

A questi elementi, l’autore inoltre ha individuato due forze principali che spingono a viaggiare: i fattori di spinta (push), legati più a scelte socio-psicologiche di tipo emozionale come, ad esempio, il bisogno di relax, di socializzazione, di fare altro e farlo altrove; e i fattori di attrazione (pull) che vengono “solleticati” dal bisogno di avventura, di novità e dalla destinazione stessa.

La paura del viaggio

Non per tutti il pensiero di viaggiare e partire è positivo. Inquietudine quando ci si deve allontanare da casa, dalla propria città e da tutto quello che si conosce e si ritiene sicuro. Si può contraddistinguere come angoscia alla sola idea che possa accadere qualcosa mentre siamo fuori casa. Vertigini, sudorazione e tachicardia quando si sale su un mezzo di trasporto… un vero e proprio panico nell’abbandonare le proprie sicurezze.

Non tutti sono contenti di abbandonare la propria zona di “comfort”.

L’ansia provata in queste situazioni, sia in fase di preparazione sia di partenza vera e propria, è estremamente invalidante e persino limitante, tanto da precluderne la possibilità.  Prendere determinati mezzi di trasporto e raggiungere luoghi sconosciuti e fuori dal proprio controllo suscita agitazione, preoccupazione e paura.

Tale difficoltà naturalmente può scontrarsi con la necessità di viaggiare o la voglia di viaggiare ma a cui ci si pone un limite per evitare una situazione di disagio importante.

A livello nosografico-descrittivo, la sintomatologia può essere classificata sotto l’etichetta di fobia (ref. Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, APA, 2014). Una paura irrazionale e paralizzante, capace di limitare diversi aspetti sociali, personali e lavorativi dell’individuo.

Cosa può scatenare questa paura?

Come per ogni tipo di sintomatologia e quadro di sofferenza è necessaria la lettura all’interno del contesto di vita e di esperienze che il soggetto vive e ha vissuto. Potrebbe essere legato a una brutta esperienza e/o essere stata vittima di un contesto negativo di viaggio pregresso. Al contrario ci può non essere un evento scatenante specifico ma, la difficoltà, può essere legata più a fattori sociali, familiari…

Facendo riferimento sempre al Manuale Diagnostico di riferimento (APA, 2014), sono maggiormente le donne a soffrire di questo disturbo rispetto agli uomini. L’età di insorgenza solitamente è attorno ai 25 anni. L’esordio con il primo attacco spesso sembra manifestarsi senza alcun pregresso o difficoltà, come un fulmine a ciel sereno, ma un attento esame psicologico può far emergere come già prima di quell’episodio vi fossero sintomi ansiosi o di malessere legati a situazioni similari a quelli scatenanti l’attacco stesso. La situazione poi si ripete generalmente perchè legata alla paura che l’attacco si possa ripetere e fa scattare un processo di evitamento: il soggetto limita le proprie attività e/o evita quelle che possono in qualche modo scatenare una situazione spiacevole.

I dati neuroscientifici evidenziano come in soggetti con attacchi di panico si registrino alterazioni specifiche del sistema nervoso, ad esempio del locus ceruleus: da quest’ultimo partono proiezioni nervose dirette al cervelletto, associabili all’insorgenza del tipico tremore da panico.

È bene sottolineare come queste difficoltà, come gli attacchi di panico, sono condizioni reversibili e possono essere affrontate e risolte con il sostegno di un esperto che aiuti a capire l’emotività legata al malessere e al contempo insegni a sfruttare strumenti cognitivi per organizzare una risposta e superare il problema.

Psicoterapia come viaggio

La psicoterapia è un po’ come un viaggio, in cui al proprio fianco vi è il terapeuta e nel quale la meta sono gli obiettivi di vita che ci poniamo.

Un po’ come nel viaggio poi, la terapia:

  • ha un inizio e una fine: non è un percorso che può durare tutta la vita, la psicoterapia non deve creare dipendenza;
  • ha in sé il tema della ricerca e della scoperta, ma anche della fatica e della soddisfazione. Durante i percorsi di psicoterapia vi possono essere momenti di difficoltà e fatica, ma questo determina anche il tendere alla riconquista di un senso pieno per sé e per la propria vita;
  • è unica e mutevole. Così come il viaggio che dipende dalla persona, da quello che vive e dalle emozioni che lo portano a scegliere una meta e una compagnia o meno durante la sua esperienza, così la psicoterapia è unica per l’individuo, non vi sarà un percorso uguale a un altro, va modellato sulla singola persona pur poggiandosi su una base teorica di riferimento;
  • non ha una meta e un percorso stabiliti in modo rigido per tutti (esistono certo percorsi che prevedono l’utilizzo di “protocolli”, ma non sono vicini al mio orientamento, per avere informazioni sul mio tipo di lavoro si rimanda a qui)

Cosa succede in questo viaggio?

Quando una persona arriva per la prima volta in studio si aprono, come nel viaggio, diverse possibilità: c’è chi arriva avendo già molto chiaro il motivo per cui è lì e cosa vuole (ad es. “ho attacchi di panico e non vorrei averli più”), altri che provano un malessere generale, un disagio che non sanno definire ma che influisce sul loro modo di vivere la quotidianità (ad es. “mi sento sempre infelice e non esco più tanto di casa ma non so perché” oppure “sono sempre in ansia, sono sempre stato così, ma adesso ho difficoltà a gestirla”); infine altri richiedono un supporto perchè qualcuno glielo ha consigliato (ad es. “la mia famiglia mi dice che sono cambiato e che avrei bisogno di fare un percorso”).

Al di là di del motivo per cui si decide di intraprendere questo percorso, e se una persona abbia o meno le idee chiare su quello che vuole dal percorso, in terapia, quello che più conta è la voglia di mettersi in gioco, secondo i propri tempi e modi. La presenza e il mettersi in gioco del paziente sono basi importanti su cui costruire un percorso “su misura” per il paziente e da lui percorribile. Il terapeuta accanto al paziente, lo aiuta, con le sue conoscenze e la sua esperienza, a percorrere questa strada in modo positivo.

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Bibliografia

  • American Psychiatric Association, Biondi, M., & Maj, M. (2014). DSM-V: manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali: text revisiion. Raffaello Cortina.
  • Crompton, J.L. (1979). Motivation for Pleasure Vacation. Annal of Tourism Research (6), 409-424
  • Feldman, R.S. (2008). Psicologia generale. McGraw Hill
  • Iso-Ahola, S.E. (1982). Toward a Social Psychology Theory of Tourism Motivation: A Rejoinder. Annals of Tourism Research, 9 (2), 256-262
  • Pearce, P. (1993). Foundamental of tourism motivation. (D. G. Pearce, & R. W. Butler, A cura di) Tourism Research , 113 – 134