“Vedere l’essere Persona in termini relazionali è essenziale per comprendere la demenza. Persino quando il deterioramento cognitivo è molto grave, una forma di incontro e di relazione Io-Tu è spesso possibile.”Tom Kitwood
#nontiscordaredivolermibene è l’hashtag lanciato quest’anno dalla Federazione Alzheimer Italia in occasione della XVIII Giornata Mondiale dell’Alzheimer (21 settembre) e il decimo mese Mondiale a sensibilizzazione verso questa patologia. Il tema centrale di quest’anno era la sensibilizzazione verso la patologia a fronte delle 1.200.000 persone che in Italia hanno la demenza. Le due parole simbolo sono “Isolamento” per descrivere la loro condizione e “Amicizia” per scrivere una nuova storia e gettare le basi per una società più vicina a questa patologia. A supporto di questo messaggio è stata pubblicata una canzone interpretata da Lorenzo Baglioni feat. Paolo Ruffini dal titolo “Non ti scordare di volermi bene” di cui invito all’ascolto qui.
La sensibilizzazione parte da una corretta conoscenza al fine di eliminare falsi miti e stereotipi sulla patologia. A tal fine, durante questo mese sui miei canali social (Facebook e Instagram) abbiamo affrontato l’argomento con alcuni contenuti di carattere clinico-divulgativo. Per una migliore comprensione e condivisione degli argomenti ripropongo in modo più approfondito i temi trattati in questo articolo così che possano essere ulteriore elemento di interazione.
Demenza, demenza senile, Alzheimer… che confusione!
Spesso si sentono frasi come “Sarà un po’ di demenza senile…”, “Le dimenticanze sono dovute alla demenza”.

Demenza come termine ombrello Credit immagine: Alzheimer’s Association
Ma cosa vuol dire demenza? Di fatto il termine demenza indica un declino delle abilità cognitive tale da interferire con le normali attività quotidiane. È un termine generale, o meglio, definito “ombrello” perchè racchiude al suo interno un insieme di declinazioni invece tipiche-patologiche.
Il termine demenza infatti non fa riferimento a una patologia specifica ma è invece un modo generale di descrivere una vasta gamma di sintomi che possono coinvolgere la sfera cognitiva e comportamentale. Tali difficoltà, inoltre, devono avere una interferenza con la vita di tutti i giorni.
Questo termine è spesso, poi, impropriamente utilizzato accostato al concetto di “invecchiamento” e “senilità”.
La “demenza senile” invece non esiste!
Questo modo di dire riflette la convinzione, un tempo molto diffusa, ma errata, che il declino cognitivo rappresenti una caratteristica normale dell’invecchiamento.
Effettivamente l’età costituisce il maggiore fattore di rischio per lo sviluppo di patologie dementigene, ma non tutte le persone anziane vanno incontro a un declino cognitivo. Pensate a quante persone hanno superato età i 70, 80 e 90 anni, anche del mondo dello spettacolo ad esempio, e hanno conservato le loro abilità cognitive, continuano ad essere menti brillanti! È possibile infatti invecchiare in salute e mantenere buone abilità cognitive. (Avevamo trattato questo argomento qui)
Quando si parla di demenza, quindi, si fa riferimento a una malattia neurodegenerativa, cronica e che può manifestarsi in forme diverse e con caratteristiche tipiche differenti l’una dall’altra. Importante risulta la tempestività della diagnosi al fine di una corretta diagnosi e presa in carico della persona.
Qual è l’iter per una corretta diagnosi
Qualora vi sia sospetto di patologia, quindi difficoltà cognitive e comportamentali che hanno un effetto nella quotidianità (per un approfondimento sui campanelli d’allarme dell’Alzheimer si rimanda all’articolo qui), è urgente un tempestivo intervento al fine di tenere sotto controllo i sintomi e rallentare la progressione della patologia.
Come abbiamo accennato, la diagnosi più accurata è possibile soprattutto nelle prime fasi della patologia così come il beneficio maggiore degli interventi.
La presa in carico del paziente e dei familiari, oltre ad essere un supporto per la patologia, è fondamentale per accompagnare l’intera famiglia nella gestione in questo cammino spesso difficoltoso.
L’iter corretto per la sua gestione prevede:
- contatto con il Medico di Medicina Generale (MMG)
- invio per l’approfondimento neurologico/geriatrico
- per una accurata diagnosi è opportuno: valutazione tramite neuro-imaging (TAC o RMN encefalo) e successiva batteria neuropsicologica
- integrazione vista neurologica + referto neuroradiologico + valutazione neuropsicologica (Valutazione Neuropsicologica) = diagnosi
- seguirà la proposta di un intervento farmacologico (prescritto dal medico neurologo) e non farmacologico (stimolazione cognitiva). Entrambi gli interventi hanno sempre il fine di rallentare la progressione della patologia, tenere sotto controllo i sintomi e mantenere attivo e allenato il paziente dal punto di vista cognitivo e sociale.
L’importanza della prevenzione
Se è importante conoscere e sensibilizzare sui campanelli d’allarme della patologia, prioritario e, per certi versi, fondamentale è parlare di prevenzione. Ritengo sia imprescindibile parlare di prevenzione e incentivare i corretti comportamenti preventivi per almeno tre motivi:
- le forme dementigene in generale, sono patologie per cui ancora non vi è a disposizione una cura, l’unica “arma” a nostra disposizione è agire quindi sui fattori definiti “modificabili”;
- come accennato nel primo paragrafo, il progredire dell’età risulta essere tra i principali fattori di rischio per sviluppare questo tipo di malattie e, come appare sempre più chiaro dai dati (ultimi dati Istat – maggio 2021) sappiamo che la speranza di vita si è allungata ed è di circa 82 anni, e questa incidenza coinvolge non solo l’Italia ma tutto il mondo. Risultano sempre più numerose le persone che rientrano in questa fascia di età ed è necessario garantire e promuovere una buona salute fisica, psichica e sociale;
- il processo preventivo devo coinvolgere tutti sia chi è direttamente esposto (adulti e anziani) ma anche i più giovani! A ribadirlo sono numerosi ricercatori, tra cui cito un recente report di aggiornamento (The Lancet Commission, 2020) e la frase simbolo “Non è mai troppo presto nè troppo tardi lungo l’arco di vita per prevenire la demenza”
“It is never too early and never too late in the life course for dementia prevention”
(Gill Livingston et al., 2020)
Ma come è possibile fare prevenzione?
I livelli su cui è necessario focalizzare l’attenzione sono quattro:
- Clinico: monitoraggio della patologie internistiche e ad andamento cronico
- Nutrizionale: con un corretto stile di alimentazione
- Sociale: prevenendo l’isolamento e l’emarginazione sociale
- Comportamentale: evitando e scongiurando quelle che possono essere cattive abitudini
Più nello specifico, facendo riferimento alla revisione dei fattori di rischio fatta da Livingston (Livingston et al., 2020), si pone l’attenzione su 12 fattori definiti modificabili. In particolare essi sono:
- scolarità,
- perdita precoce dell’udito,
- traumi cranici,
- ipertensione,
- abuso di alcol,
- obesità,
- abitudine al fumo,
- depressione,
- tendenza all’isolamento sociale,
- inattività fisica,
- diabete,
- inquinamento.
Per un ulteriore approfondimento si rimanda all’articolo scritto in precedenza sui 12 fattori di prevenzione (riferimento qui).
La figura del caregiver
Le patologie come la demenza sono malattie che hanno un impatto considerevole sul malato e su tutto il nucleo famigliare e di chi si prende cura.
Con il termine caregiver si fa riferimento a “colui/colei che fornisce cure” a qualcuno che ha subìto una perdita di autonomia dovuta ad esempio a una patologia dementigena.
Molto spesso questo ruolo è ricoperto da un famigliare: generalmente il coniuge o il partner, altre volte i figli o ancora fratelli/sorelle.
Non è sempre facile per il caregiver riuscire mantenere il proprio equilibrio. Talvolta, coloro che si prendono cura della persona ammalata, vivono diversi drammi: l’accettazione, la condivisione della malattia, la necessità di far fronte ai propri sentimenti di difficoltà e impotenza. I sentimenti di inadeguatezza, rabbia e frustrazione, oppure sconforto e tristezza possono presentarsi durante il percorso di accudimento, finendo per costituire un ulteriore ostacolo nella già precaria situazione.
Spesso, a tal proposito, si fa riferimento al caregiver coma le “vittime nascoste della malattia”: sottolineando proprio la grande quantità di tempo, energie, affetto, risorse economiche impiegate per curare nel modo migliore il proprio congiunto spesso a discapito della propria salute fisica, psicologica e possibilità di azione.
Al fine di un accudimento e presa in carico del proprio caro, è necessario quindi un benessere prima del caregiver. Tale benessere infatti influenza direttamente anche la cura della persona ammalata.
Per il caregiver diventa fondamentale potersi ritagliare del tempo da dedicare a se stessi, mantenere delle relazioni sociali e, se necessario, chiedere un aiuto concreto. Dai dati su gruppi di lavoro con caregiver, appare poi importante avere le competenze e le conoscenze di quello che sta accadendo al fine di comprendere e gestire al meglio le situazioni.
Generazione Sandwich
Uno spaccato particolare di caregiver sono quelli che fanno parte della cosiddetta “generazione sandwich”.
Sono quella porzione di adulti, generalmente donne, tra i 40-55 anni che si prendono cura dei genitori anziani e si trovano a doversi alternare tra lavoro, gestione della propria famiglia e della famiglia di origine. Sono quelle famiglie che contestualmente devono dividersi tra la cura dei genitori anziani e il sostentamento dei figli non ancora autosufficienti, generalmente minorenni, sentendosi immancabilmente oppresse e schiacciate sotto il peso di due generazioni.
In Italia, secondo l’Istat, sono oltre 15 milioni le persone che fanno parte di questa fetta di popolazione.
Il ruolo di accudimento è in misura maggiore occupato da donne che vivono frequentemente questa fase del ciclo di vita come onerosa e problematica. Il “role overloaded” delle donne riguarda lo stress casalingo, le rinunce alla carriera lavorativa e la significativa riduzione del tempo da dedicare a se stesse o ad attività piacevoli; con una tendenza a fare tutto da sole, sottovalutando il carico di stress a cui si aggiungono sintomi come stanchezza cronica, affanno, mal di testa, disturbi dell’appetito, insonnia..
Quali sono i segnali di un eccessivo carico del caregiver (“burden“)?
Risulta prioritario il supporto del cregiver e delle famiglie che assistono un paziente con demenza. Questo perché fornire ai famigliari le competenze (informazioni sulla patologia e come affrontarla), ma anche gli strumenti pratici ed emotivi, come evidenziato in letteratura scientifica, riduce il “burden” sperimentato e la comparsa di tutta quella sintomatologia che pregiudica la salute del caregiver nonché la presa in carico del proprio caro.
A livello psicologico, è frequente un sentimento di colpa: sensazione di non fare abbastanza per i figli, per i genitori e per il partner. A volte lo stress si manifesta con un senso di abbandono, di precarietà e fallimento che impedisce la richiesta di aiuto.
- È fondamentale chiedere aiuto e condividere la difficoltà all’interno della famiglia o con qualcuno di fidato
- In famiglia una buona comunicazione permette di gestire al meglio i momenti critici
- Ove possibile, favorire la collaborazione tra generazioni. In questo modo, si costituisce una migliore gestione della quotidianità, si responsabilizzano i figli e si aiutano le persone anziane a sentirsi ancora utili e attivi
- Qualora la gestione della situazione fosse troppo difficoltosa, soprattutto se con patologie degenerative, è consigliabile richiedere un supporto psicologico adeguato
La demenza raccontata ai bambini
La demenza è una patologia che non coinvolge solo la persona che ne è affetta, ma anche la famiglia che se ne occupa e spesso l’intero nucleo famigliare. Come abbiamo visto nell’approfondimento sui caregiver, spesso ci si trova anche nella condizione di dover badare a genitori malati e allo stesso tempo a figli piccoli (“Generazione Sandwich“).
Viene da chiedersi quale atteggiamento avere nei confronti di questi ultimi, rispetto a nonni/zii che manifestano la patologia. È bene condividere la situazione o sarebbe troppo doloroso/difficile da comprendere?
Spesso si tende tenere nascosto le malattie dei nonni per proteggere i nipotini da qualcosa che sembra inaccettabile o fa troppa paura. Una protezione per non creare pensieri e preoccupazioni ai più piccoli della famiglia. Spesso, però, siamo noi stessi adulti che abbiamo paura ad esprimerci e/o non sappiamo con certezza come condividere quello che sta accadendo.
Nella realtà nascondere l’evidenza ai bambini non li aiuta a capire il cambiamento che spesso è già stato percepito. Il silenzio o risposte evasive alle loro domande, portano i piccoli a rispondersi con fantasie o sensi di colpa che possono aggravare le loro preoccupazioni o farli sentire abbandonati e traditi dalle persone più vicine. Al contrario, offrire la possibilità di condivisione e sensibilizzarli sulla problematica è di aiuto anche per affrontare situazioni di difficoltà e imbarazzo rispetto a comportamenti bizzarri del proprio caro malato.
Alcune proposte per parlarne con i bambini
Molte sono le pubblicazioni per bambini che possiamo trovare disponibili sull’argomento, vi segnalo alcuni testi che hanno attirato la mia attenzione e che credo possano essere un buon supporto per affrontare l’argomento con i più piccoli:
“Nonna dimentica” – P. Russell, N. Johnston (2019) pubblicato da Erickson. Consigliato dai 4 anni in su. È un album illustrato completo di guida per i genitori per offrire spunti di condivisione rispetto ai comportamenti bizzarri, le dimenticanze o le preoccupazioni che possono vivere i nipoti
“Felice di nome e di fatto” – T. Morrone (2017) pubblicato da MdS Editore. Consigliato dai 7 anni in su. Un romanzo che racconta il rapporto tra generazioni e la scoperta della malattia. Una nipotina di 10 anni e il suo rapporto speciale con il nonno pasticcere…
“Una nonna tutta nuova” – di E. Steinkellner e M. Roher (2015) pubblicato da Terre di Mezzo. Consigliato dai 4 anni in su. Un simpatico racconto dedicato ai più piccoli che esprime la necessità di cura e attenzione che può avere bisogno una nonna affetta da demenza
Alcuni spunti da libri, film e serie TV
Ultima sezione del nostro excursus: il mondo della narrativa, del cinema e del piccolo schermo si è sbizzarrito, soprattutto negli ultimi anni, sull’argomento dell’invecchiamento trattando sia quello di successo sia quello patologico, con racconti più o meno autobiografici e rivolti a diversi target.
Molti di queste produzioni sono per noi clinici uno spunto importante per poter poi approfondire l’argomento e incuriosire anche chi è più restio ad avvicinarsi a temi come questo per paura, senso di colpa o inadeguatezza o semplicemente indifferenza verso l’argomento.
Vi lascio qualche spunto, diviso per tipologia, che negli anni mi sono serviti per affrontare momenti divulgativi.
Narrativa
- Alberto Cester – Vecchiaia per principianti (2019) Editore Laterza. Un buon libro spiritoso e ricco di spunti di riflessione per affrontare il tema dell’invecchiamento sano e patologico, scritto da un Cester, geriatra che si trova ad affrontare a sua volta questo momento della vita.
- Michela Marzano – Idda (2019) Einaudi Editore. Un romanzo che tratta la difficoltà della memoria per passare poi a un focus sul potere della relazione.
- Silvina Petterino – Vecchi da morire. Anziani in casa di riposo (2010) Stampa Alternativa. L’autrice infermiera che per anni si è occupata dell’accudimento di anziani in “case di riposo” racconta alcuni episodi del suo lavoro. Un viaggio non sempre facile da digerire per famigliari e operatori.
Film e serie tv
- Up (2009) Disney-Pixar – Un anziano inizialmente scorbutico e un giovane scout verso un obiettivo comune. Tante avventure, amicizia e il grande insegnamento dell’importanza di avere sempre un obiettivo forte per cui vivere.
- Still Alice (2014) Good Film – Adattamento cinematografico del romanzo “Perdersi” di scritto dalla neuroscienziata L.Genova. Racconta di una affermata donna che si trova a fare i conti con una forma giovanile di demenza. La narrazione affronta tutto l’iter diagnostico dai primi sintomi fino alla diagnosi con il progredire della patologia.
- Il metodo Kominsky (2018) Warner Bros. Television – Serie tv spiritosa che attraverso i due protagonisti, un attore e il suo migliore amico nonchè agente, ormai non più giovani, affrontano le sfide quotidiane. Tra problemi di salute, dinamiche famigliari impreviste, ma anche sottolineando l’importanza di amicizia, relazioni e sessualità anche in questa fase della vita.
Se i contenuti trattati sono stati di aiuto o sono stati uno spunto di riflessione ma ti serve qualche altra informazione, contattami ai riferimenti che trovi sul sito o sui miei canali social.
Se ti trovi in situazione di difficoltà per incertezza della diagnosi o come famigliare perchè stai affrontando questo nuovo cammino, sono a disposizione per un appuntamento e/o iniziare un percorso insieme.
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