“Il tema dell’identità personale, lungi dall’essere un problema filosofico, rappresenta invece il nucleo teorico che la psicologia clinica deve porre alla base del suo procedere scientifico, poiché la maggior parte della psicopatologia è collegata a qualche alterazione dell’identità personale.” (Liccione D., p.55, 2019)

Talvolta abbiamo difficoltà a riconoscere le azioni che abbiamo compiuto o le scelte che abbiamo fatto.identità

Ci poniamo domande quali “Come ho fatto a fare quella determinata scelta”, “Una volta non avrei mai preso una decisione così…sono proprio io?” o ancora “Come ho fatto a comportarmi così?”.

Che cosa è successo? Come mai a volta capita di non poterci spiegare quello che sta accadendo? Come cambiamo?

Il tema alla base è quello dell’identità. Proviamo a capire come questo tema è strettamente collegato alla nostra quotidianità e come esso “cambi” in continuo con noi.

Cosa “modifica” la nostra identità?

Cosa si intende per identità

Con il termine di identità si intende una relazione di uguaglianza e coincidenza tra due elementi.

L’identità personale è quel complesso insieme di caratteristiche che ci distingue e consente la nostra identificazione.

Durante il corso della vita noi siamo in continuo cambiamento, a livello fisico, rispetto alle scelte che facciamo, rispetto alle esperienze che viviamo, ma nonostante questo restiamo sempre noi, mantenendo l’identità della persona riuscendo cogliere la peculiarità del singolo nonostante i costanti cambiamenti.

Cosa ci pone di fronte ai cambiamenti?

In alcuni momenti e situazioni, la realtà, con i suoi imprevisti ci pone di fronte alla necessità di cambiamenti, a delle scelte che configgono con quello che noi pensiamo o pensavamo di essere. Questo nostro cambiamento può essere dovuto a molti fattori, come ad esempio il porsi di nuovi obiettivi o la riformulazione dei miei progetti, o nuove esperienze che ho vissuto.

Le circostanze infatti ci portano ad adattarci e a prendere delle decisioni che prima non avremmo preso, o assumiamo comportamenti ed atteggiamenti che mai avremmo pensato ci appartenessero. La conseguenza talvolta può essere un vissuto di estraneità, di non riconoscimento di noi stessi. Qualora poi la comprensione dell’azione compiuta venga meno, anche alla luce dell’esperienza vissuta, ci troveremmo ad affrontare una spaccatura a livello identitario.

Detto in altre parole: le caratteristiche personali in cui mi riconoscevo (valori, modalità di relazionarmi, aspirazioni…) e per cui ero riconosciuto dall’altro, sono più lontane da me o sono venute meno in quella determinata circostanza o ancora non mi appartengono più.

Il riconoscerci dà sicurezza e stabilità, il venir meno di questo ritrovarsi porta al vacillare della stabilità personale.

Se il mancato riconoscimento è molto forte si crea una frattura che ci destabilizza, in cui proviamo emozioni contrastanti e in cui non ci riconosciamo più come noi stessi. Il fatto che ciò che eravamo, o ciò che siamo diventati, non lo sentiamo più come appartenente a noi stessi costituisce la crepa su cui si possono innestare, e prendere origine, alcuni dei più comuni disturbi psicologici (ansia, fobie, ecc.) al fine di mantenere e recuperare la sicurezza e il senso di stabilità personale perduto.

Quando può accadere?

La nostra identità è continuamente in divenire. È mossa da tutto ciò che accade intorno: ad esempio un cambiamento importante nella nostra vita, come un impiego lavorativo nuovo o la fine di una relazione affettiva, pongono la necessità di ri-trovare il senso e la nostra stabilità. A volte cambiando alcuni obiettivi o progetti. 

I problemi nascono qualora vi sia difficoltà a riconfigurarci in termini identitari, ovvero sempre uguali a noi stessi. Il senso di estraneità ci pervade, sono estranee le sensazioni che proviamo, le esperienze che viviamo e le emozioni che proviamo. 

“…l’emozionarsi è il significato incarnato della situazione in corso, ossia il sentimento globale di Sé (carne) che emerge dall’essere in uno specifico contesto, ed eventualmente in una specifica relazione interpersonale (altro)” (Liccione, 2011 p.74)

Secondo la prospettiva fenomenologica la mia emozione, il mio contesto emotivo definisce un senso e un significato alla mia esperienza che sto vivendo in quel determinato momento. Questo mio vissuto può aprire nuove possibilità di azione nel mondo o chiuderne.

A prescindere dal tipo di emotività vissuta, la necessità è quella della “comprensione” di ciò che sta accadendo: “Quando alcune esperienze significative non vengono riconfigurate, oppure sono riconfigurate in modi non identitari, la storia di Sé si rileva incoerente o incompiuta, quindi parzialmente o totalmente incomprensibile” (Liccione, 2011 p.133).

“Quello che si deve comprendere in un racconto, non è anzitutto colui che parla dietro al testo, ma ciò di cui è parlato, la cosa dietro al testo, cioè il tipo di mondo che in qualche modo l’opera dispiega davanti al testo, è nella misura in cui questo non è chiuso in se stesso, ma aperto sul mondo che ridescrive e rifà” (Ricoeur, 1986, trad. it. 2003, o.161)

Il supporto della figura del psicoterapeuta può aiutare il soggetto a comprendere meglio il contesto in cui una certa decisione è stata presa, una certa emozione è stata vissuta… favorendo il significato e la sua riappropriazione.

 

Riferimenti bibliografici:

Arciero, G., & Bandolfi, G. (2012). Sé, identità e stili di personalità. Bollati Boringhieri.

Liccione, D. (2011). Psicoterapia cognitiva neuropsicologica. Bollati Boringhieri.

Ricoeur, P. (1989). Dal testo all’azione. Saggi di ermeneutica (Vol. 244). Editoriale Jaca Book.